Se penso all'inverno non posso che pensare alla lana, con il suo tepore e la sua morbidezza trasforma in un caldo abbraccio qualsiasi maglia e cardigan, durante le fredde sere invernali, sopratutto quando mi trovo a guardare la TV sdraiata comodamente sul divano. Talvolta, mi capita di giocare con le frange della morbida sciarpa che mi circonda il collo e di soffermarmi su ogni singolo filo, immaginando tutta la sua storia, ricostruendo passo per passo le varie fasi che ha attraversato per diventate tale. La lavorazione della lana fino alla metà del secolo scorso, in alcune zone della Sardegna era parte integrante della vita quotidiana ed in particolare dei lavori domestici femminili, infatti, ad esclusione della tosatura, le restanti fasi di lavaggio, cardatura, filatura e tessitura, erano competenza delle donne che, sin da bambine, venivano coinvolte nell’esecuzione delle diverse procedure. Le più piccole cominciavano collaborando nelle procedure più semplici fino ad acquisire pratica e più competenze e a specializzarsi nella fase per la quale si era maggiormente portata.
Le diverse fasi di lavorazione della
lana erano anche momenti sociali importanti, che scandivano la vita
quotidiana. Così come per altre attività domestiche, le procedure
di preparazione dei filati e del telaio, richiedevano aiuto e
collaborazione e divenivano momenti di condivisione, spesso
ulteriormente allietati da piccoli festeggiamenti conclusivi.
La lana, fino a poco tempo fa costituiva un’importante risorsa economica destinata a diversi tipi di produzione. I prodotti finiti erano molteplici: materassi e cuscini, coperte e tappeti, bisacce, tessuti per il confezionamento di abiti tradizionali maschili e femminili. In particolare durante il fascismo, all’epoca dell’autarchia, venne incrementato l’uso dell’orbace al posto dei tessuti tradizionali e poiché di orbace erano fatte le uniformi della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e delle organizzazioni giovanili del regime, vi fu una vera e propria “campagna dell’orbace”, che ebbe riflessi positivi sull’economia rurale dell'isola.
Il ciclo di lavorazione partiva dalla tosatura e la lana così ottenuta veniva lavata lungo i corsi di acqua corrente. Il lavaggio consisteva nel passaggio in caldaie in acqua calda, nel risciacquo in acqua corrente e quindi nell’asciugatura al sole. Si procedeva successivamente con la cardatura, filatura, tinteggiatura dei filati, per poi passare alla tessitura di tappeti, coperte, tessuti per il confezionamento di abiti e altri manufatti.
La fase della cardatura deve il suo nome
alla pianta del cardo, poiché anticamente le infiorescenze seccate
del cardo dei lanaioli (che sono coperte di aculei) venivano usate
per questo lavoro. In pratica la cardatura consiste nel liberare
dalle impurità, districare e rendere parallele le fibre tessili, al
fine di permettere le successive operazioni di filatura.
Mi ha sempre affascinato fin da bambina, vedere trasformare grumi di lana di pecora in soffici fiocchi leggeri, simili a nuvole, da poter trasformare in varie forme: ora una pecorella, ora un angioletto o semplicemente un fiore. Da qui è nata la mia passione per la lana infeltrita.
L’arte della produzione del feltro è molto antica, addirittura antecedente a quella della tessitura. I ritrovamenti più antichi sono stati fatti in Siberia. I nomadi dell’Asia centrale furono tra i primi a ottenere un panno compatto battendo la lana cardata e bagnata. Con questo panno confezionavano tende, abiti, stivali e copricapi per difendersi dal freddo.
Ancora oggi il feltro viene utilizzato su larga scala per produzioni artigianali e tradizionali. In tutta l’area che va dalla Scandinavia alla Mongolia si vive circondati dal feltro: tappeti, borse, valenky (stivali in feltro russi), ger (l’abitazione in feltro dei popoli nomadi della Mongolia, detta yurt in Turchia ).
In Italia lo si utilizza principalmente per produzione di cappelli, la cui qualità è rinomata in tutto il mondo.
Il feltro è un tessuto non tessuto, non si ottiene attraverso un processo di filatura, tessitura o lavorazione a maglia, bensì attraverso l’intreccio delle fibre. Per le mie creazioni di lana infeltrita mi affido solitamente a due tecniche diverse, una è quella a secco e l'altra ad umido. La prima consiste nell'infilzare velocemente e ripetutamente l'apposito ago nella lana in modo tale da intrecciarne le fibre, mentre per la seconda invece occorre sapone di Marsiglia e acqua calda (circa 30/40 gradi). Le fibre della lana, infatti, sono ricoperte da squame che per effetto dell'acqua, resa alcalina dal sapone, del calore e dello strofinamento si gonfiano e si incastrano saldamente tra loro in un insieme compatto, indivisibile e irreversibile, diventando feltro.
Entrambi i procedimenti sono molto semplici, ma come sempre fantasia e creatività giocano un ruolo importante per ottenere sempre buoni risultati.
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Fonti per il testo: Isolana ; Archivio
dei Saperi artigianali del Mediterraneo; Cardatura-Wikipedia ;
Cristiana Di Nardo.
Fonti per le immagini:
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Elderlyspinnera.jpg;
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Dipsacus_fullonum_MHNT.BOT.2005.0.269.jpg;
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Fusi.JPG;
http://goeasteurope.about.com/od/russia/ss/russianculture_12.htm;
http://www.pinterest.com/kialani2/architecture-of-the-world/
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