Un tempo credevo che la creatività avesse a che fare con
l’ispirazione – che doveva cadere dal cielo, e che a me non sarebbe mai
arrivata. Poi ho cominciato a pensare che perfino la creatività fosse una
questione di forza di volontà, di intento: bastava mettersi lì, seduti al
tavolo, e lavorare.
Infine mi sono
rimproverata di non avere metodo, perché anche la creatività, dopo tutto, ha a
che fare con l’artigianato, con il craft,
il mestiere, e io non finivo mai i manuali e stentavo a incanalare l’impulso emotivo
in regole precise.
La mia forma di creatività è la scrittura. Ma non credo
cambi poi molto, che si parli di scrittura, di pittura di design, o di
qualsiasi creazione compiuta usando le mani.
Perché, ho scoperto poi, la creatività sottende a tutte queste
attività allo stesso modo, e l’unico segreto è rispettarla e favorirla. Non si può forzare, non si può insegnare -
ma questa non dev’essere una scusa per non incoraggiarla.
Gli americani l’hanno
scoperto da tempo, e se non la insegnano, insegnano alle persone come portarla
alla luce. Le nostre scuole raramente si preoccupano di creatività. Non ci
fanno usare le mani, non ci lasciano liberi di scrivere una pagina a briglie
sciolte (non ho mai fatto una scaletta in vita mia, e fortunatamente avevo una prof
che se ne fregava delle scalette, ma in teoria quello era il metodo per scrivere
i temi, vero? L’orrenda scaletta!).
Oggi ho un libro in libreria. Mi alzo, vado a fare due
passi, e lo vedo lì, nella vetrina da cui sono passata migliaia di volte,
quella in cui ho sognato di stare per così tanto tempo, in piazza del Duomo.
Lo
guardo, e ancora non so cos’è la creatività.
So che prima c’era “il manoscritto”
– ed era qualcosa che plasmavo scioglievo rimodellavo, e adesso non c’è più: c’è
un libro in libreria.
La mia creatività ancora da accudire. Nuovi libri da scrivere.
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